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21/02/2015, 22:51

Kamut: in Italia ne consumiamo la metà della produzione globale. Ma sappiamo cos’è?

Occorre sfatare due miti: il primo è che il KAMUT non è un cereale ma un marchio, il secondo è che non è adatto all’alimentazione dei celiaci, infatti contiene glutine.

In Montana alla fine degli anni ’80, Bob Quinn iniziò a commercializzare i prodotti di una varietà di cereale, il grano Khorasan, alla quale aveva dato un nome nuovo di zecca: KAMUT che in egiziano antico dovrebbe significare grano, e con due piramidi come simbolo. Nasce la Kamut International.

Oggi si tenta di far passare il concetto che sia lo stesso grano coltivato ai tempi dei faraoni, ma il grano orientale o grano Khorasan viene dal nome della provincia dell’Iran dove ancora oggi si coltiva. Racconta Dario Bressanini nel suo libro ‘Le bugie nel carrello’ che chiunque può piantare la stessa varietà di grano, ma non può commercializzarla con quel nome e che i vegetali si brevettano da sempre, almeno nei paesi occidentali, e ciò conferisce al titolare una serie di diritti esclusivi per un periodo limitato, di solito inferiore ai vent’anni.  Il passo avanti è stato fatto associando quel tipo di grano ad un marchio registrato che non scade mai, garantendosi un monopolio perenne.

Il   Khorasan , da cui si ricava la farina che viene associata al nome di Kamut,  è una semplice varietà di grano che contiene principi nutritivi; è la produzione biologica a farne un prodotto differente.  Come ben sappiamo i prodotti biologici sono un modo per salvaguardare l’ambiente, ma tutto si vanifica se il prodotto deve essere trasportato da lontano e il 99% del Kamut viene coltivato nelle distese pianure americane del Montana e in Canada. Per arrivare in Europa deve attraversare l’Oceano e passare dall’azienda belga Ostara che ne detiene l’esclusività. Il 50% della produzione mondiale è assorbita dall’Italia.

Però anche nel nostro Bel Paese, si coltiva, in una zona compresa tra la Lucania, il Sannio e l’Abruzzo, una varietà di grano Khorasan chiamato grano Saragolla.  Ma allora è meglio un grano tradizionale a km 0 o un grano che arriva dall’America a prezzi spropositati (3 o 4 euro al chilo)? Ai posteri l’ardua sentenza!

Franca Nocera