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14/01/2019, 20:47

E’ nato prima lu carrature o lu rentrocele?

lu rentrocele

E’ grazie all’utilizzo delle acque purissime delle sorgenti montane che la pasta in Abruzzo  narra una delle più antiche tradizioni sia nell’utilizzo della qualità del grano che degli attrezzi conferendo una forma  tutt’oggi  molto apprezzata dai buongustai. L’ arte dei maestri pastai  e l’utilizzo degli antichi strumenti  permette all’abruzzese di ricreare i più tradizionali formati di paste fatte in casa. Mentre nella grande industria le forme sono dettate da un cambio di stampo, nel  fai da te si mantiene il fascino dell’utilizzo dell’attrezzo della nonna oltre la scelta sapiente della materia prima, ma questa non è una scoperta!

All’inizio del 1500, in Abruzzo e in modo particolare nell’area Frentana, presso le cucine delle famiglie nobiliari, si confezionava una pasta chiamata “Maccheroni a lu rentrocele”. Dall’impasto si stendevano della sfoglie dello spessore di 3 mm e su di essa si passava un mattarello di ferro dentellato chiamato “ferro per maccheroni” oppure “ruzzolo”. Facendo pressione sulla sfoglia si ottenevano una sorta di piccole tagliatelle,  larghe 5 mm. Molto probabilmente  il nome di Rentrocele deriva proprio da questo movimento rotatorio compiuto dall’attrezzo sulla sfoglia  per tagliarla. Un mattarello dalle scanalature molto profonde la cui funzione, appunto, è di ‘tagliapasta’ che  veniva preparata durante la transumanza.

Intorno alla seconda metà del 1700 fu inventato un attrezzo chiamato “Maccharunare”, formato da un telaio di legno rettangolare con sopra dei fili di rame oppure di ottone, distanziati tra loro 3mm. Non vi sono fonti documentali che riportino realmente la data e la motivazione per la realizzazione di questo attrezzo. Presumibilmente alcuni “maccharonari”, nel vedere i telai con i fili di ferro tesi, utilizzati per l’essiccazione dei maccheroni, sia venuta l’idea di realizzare un attrezzo per poter confezionare questa pasta all’uovo. Il Maccharunare si diffuse rapidamente nell’area pedemontana abruzzese.  Nell’area vestina del Pescarese,  assumeva il nome di “Carrature”, nome derivante da una declinazione dialettale abruzzese della parola francese “carrer”, che significa “squadrare”, dovuta all’influenza linguistica lasciata dalla presenza francese in Abruzzo nella seconda metà del 1700. Della presenza del Maccharunare nelle case dell’epoca si hanno dei riscontri in alcuni documenti notarili. Nel 1779, a Casoli (Ch), nella dote di una sposa venne registrata la presenza di “un maccharonaro con corde di ottone stimato carlini 6”, mentre nel 1871 lu Carrature è presente nella dote di una sposa di Penne. Anche per l’ulteriore evoluzione sul nome del Maccharunare non vi sono date certe. Presumibilmente, alla fine del 1800 il Maccharunare cominciò ad essere chiamato Chitarra, come riportato nel “Vocabolario dell’uso abruzzese” di Gennaro Finamore del 1893, dove si legge “Catarre o Chetarre” probabilmente a causa di una evoluzione linguistica più moderna e anche perché i fili stesi sul telaio assomigliano alle corde di una chitarra.  Questo utensile di legno con corde tese (d’acciaio poi), serviva a confezionare dei maccheroni ottenuti con la farina di grano duro impastata con acqua e uova, che venivano anche detti “maccharuni mezz’acque e mezz’ove”. L’impasto ottenuto veniva spianato con un matterello fino allo spessore di 3 mm, la stessa distanza che intercorre tra un filo e l’altro: ciò consentiva di ottenere dei maccheroni leggermente quadrati. Si tagliavano delle sfoglie (le pettele, in abruzzese) della stessa grandezza del Maccharunare, che venivano stese singolarmente sui fili dell’attrezzo. I maccheroni si tagliavano facendo pressione con il mattarello e passando un dito sulla sfoglia tagliata alla base del Maccharunare come “suonando un arpeggio”, per far scendere completamente la pasta tagliata. Questo utensile, evolutosi in lu carratur, andò a sostituire lu rentrocele.

 

 

Franca Nocera
Lu carrature (foto M.Sabatini)