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22/03/2013, 17:01

Il dovere della memoria 63 anni dopo l'Eccidio di Lentella

Il 21 marzo 1950 i tragici fatti di Lentella

Anche quella mattina gli abitanti di Lentella si ritrovarono per procedere alla realizzazione della strada di collegamento con la fondo valle Trigno. Era un lavoraccio con i pochi mezzi a disposizione in quel periodo, ma non era un lavoro come un altro: tanta fatica e tanto sudore non erano retribuiti. Si trattava dello sciopero alla rovescia: il lavoro mancava e la miseria era conosciuta da tutte le famiglie, la strada promessa, che poteva assicurare nuova occupazione e nuove prospettive tardava ad arrivare. Per questo ci si svegliava presto, si lavorava a quella strada gratuitamente, uomini e donne, e, la sera, si tornava protestando; si tornava anche con bandiere comuniste e nazionali, perché mica era un atto di sovversione (come nelle parole di Pierino Sciascia in 50° dell’eccidio di Lentella, Res Abruzzo). Si tornava e si depositavano gli attrezzi del mestiere nella Camera del Lavoro (che era anche sezione del Partito Comunista) ubicata nel piano terra del municipio in piazza Garibaldi. Quel 21 marzo ad accogliere il corteo ci sono le forze dell’ordine. La tensione, altissima già da giorni (il 14 marzo ci fu un lancio di lacrimogeni), è al culmine.

Quando il corteo è ormai a pochi passi dal municipio partono colpi di arma da fuoco. A esploderli è l’appuntato De Vita, a terra restano Nicola Mattia e Cosmo Mangiocco. I feriti sono numerosi, alcuni sono stati raggiunti dai proiettili sull’autobus Celenza-Chieti in quel momento fermo in piazza. Nel fuggi fuggi generale le vittime vengono portate nelle misere abitazioni di quel periodo, ma non ci sarà nulla da fare. La sera stessa verrà istituito il coprifuoco che permarrà per vari giorni. La sezione del PCI verrà setacciata e tutti i suoi iscritti saranno denunciati. Gli altri manifestanti, soprattutto chi ricopre un certo ruolo all’interno del partito fuggiranno attraverso le campagne per trovare riparo per settimane nelle sezioni di Vasto e San Salvo. Il giorno dopo vi saranno i funerali, vi partecipà una folla immensa accorsa da tutta la provincia; interverranno anche quattro deputati e Lentella sarà blindata con forze dell’ordine nascoste ovunque per evitare altri disordini e stroncare sul nascere nuove proteste.

L’episodio è inquadrato in quegli anni ‘50 durante i quali la polizia di Scelba mieterà innumerevoli vittime in tutta l’Italia. Dopo sessanta anni, quello che passerà alla storia come Eccidio di Lentella, paradossalmente, spesso non è conosciuto dalle giovani generazioni locali, mentre all’epoca ebbe una eco vastissima. Le proteste per i morti di Lentella si allargheranno a macchia d’olio in tutta Italia e porteranno a nuove vittime della repressione. Il 22 marzo viene convocato uno sciopero generale dalla CGIL durante il quale verranno uccisi dalla polizia Attila Alberti (32 anni) a Parma e Francesco Laboni ad Avezzano. La tensione è destinata a rimanere alta ancora per anni. Chi cadrà sotto i colpi della polizia o dei carabinieri, nella maggior parte dei casi non avrà giustizia; gli assassini, al massimo, verranno trasferiti altrove, come è accaduto per i responsabili di Lentella. L’eccidio avrà un’importante risonanza anche in Parlamento.
Durante il dibattito c’è chi come Bubbio, sottosegratario di Stato per l’Interno, avrà l’ardire di affermare che, nonostante il rammarico per i tristi avvenimenti, lo sciopero era immotivato perché quasi tutti gli aderenti erano proprietari terrieri. C’è chi non crederebbe alle proprie orecchie: furono considerati proprietari terrieri, quindi in grado di sopravvivere dignitosamente, tutti coloro che avevano un pezzo di terra, che in molti casi misurava un quarto di ettaro, se non meno. Anche Ercole Rocchetti (deputato DC) descrisse Lentella come «il più pacifico mondo la cui popolazione laboriosa è occupata nel lavoro dei campi e in altri lavori».

Saranno i deputati Bruno Corbi e Silvio Paolucci (PCI), che hanno visitato Lentella in occasione dei funerali, a delineare il quadro della miseria che in quegli anni attanagliava le popolazioni contadine di tutta Italia: «Paese di miseria, paese senza strade, senza fognature, senza abitazioni, senza un segno di vita civile.[...] Io dirò soltanto come vivevano i due uccisi. Noi abbiamo visto. Ci siamo recati nelle case di questa povera gente. Cosimo Mangiocco era un giovane di 26 anni. Era già sposato, ma non poteva convivere con la compagna della sua vita, perché non riuscivano, in due, a procurarsi un letto. Cosimo Mangiocco, quando lo hanno riportato cadavere nella sua casa, non ha potuto esservi ospitato, perché la sua bara occupava troppo posto. È stato trasportato nella casa della sua giovane sposa: e Lia lo ha ospitato per la prima volta, cadavere, nel suo letto di vergine. E questo era il figlio di un proprietario! Il vostro Popolo, il giornale del Governo, così lo ha definito. L’altro, Nicola Mattia, padre di quattro figli di tenera età: quando lo hanno riportato a casa, non ha potuto entrare in quella stretta, unica stanza, in cui convivono 6 o 7 persone. Sapete perché? Perché si accede a questo buco attraverso una scala a pioli; e non è possibile trasportarvi un cadavere. Il suo povero corpo, crivellato di colpi, fu quindi ospitato nella casa di gente caritatevole vicina. E questi era il “proprietario mezzadro” di cui parlava il sottosegretario Bubbio! Non avevate il diritto di offendere, anche dopo morti, queste vittime del vostro odio e della vostra paura. Voi avete bisogno di morti».

LA STAMPA DELL'EPOCA. Il tragico fatto ebbe vasta risonanza anche sulla stampa dell'epoca. Il Giornale del Mezzogiorno (settimanale) titolò Bestie da soma l'articolo in prima pagina sulle drammatiche notizie da Lentella. Affiancato all'articolo l'omonima opera del pittore abruzzese Teofilo Patini. Nei numeri successivi coniò il termine 'Lentellinismo' per identificare tutte quelle situazioni di sfruttamento e oppressione che tormentavano soprattutto le regioni del Sud Italia. 
Durissima la chiusura del primo articolo: «[...] Ciascuno è in torto di fronte verso i morti che non dovevano morire e nessuno potrebbe scagliare la pietra del senzapeccato. Perché di fronte a Lentella, a molte, a troppe Lentelle che ancora esistono nel Mezzogiorno c'è da picchiarsi tutti il superbo petto e domandarsi se abbiamo più il diritto di vivere di fronte a chi ha soltanto il dovere di morire».

Abruzzo d'oggi, invece, dedicò nel 1975, ampio spazio alle manifestazioni che si tennero a Lentella per il 25esimo anniversario dell'eccidio.

Antonino Dolce